Il sabba di Yule cade nel giorno del solstizio d’inverno, che segna l’arrivo della stagione più fredda. Molti alberi si spogliano del fogliame, il ghiaccio o la neve ricoprono la terra, alcuni animali cadono in letargo, altri muoiono a causa del freddo e del poco cibo. Tutto sembra fermo, stretto nella morsa del gelo e avvolto dall’oscurità della notte più lunga dell’anno.
Ma nel trionfo del buio giace la scintilla della rinascita della luce e, dal giorno seguente, la luminosità comincerà di nuovo a crescere. Il Vecchio Sole muore, mentre nasce il Sole Bambino, il Figlio della Promessa che la Dea partorirà all’alba. Celebrando Yule viviamo i grandi misteri della morte, della trasformazione e della rinascita e comprendiamo come siano parte di un unico ciclo, necessari affinché l’equilibrio sia mantenuto.
Questo momento di passaggio era celebrato in diversi modi, in diverse culture.
A Roma era il momento dei Saturnali, che erano in origine una festa agricola dedicata alla semina, ma nel tempo acquisirono anche un significato sociale, una commemorazione dell’Età dell’Oro durante la quale Saturno governava la terra e regnavano pace ed abbondanza. Saturno fu infatti una divinità essenzialmente legata all’agricoltura, alla quale si facevano risalire tutte le invenzioni che la riguardavano. Era il dio dei campi seminati, il protettore dei tesori racchiusi nella terra e considerato datore di benessere e prosperità. Veniva rappresentato con la falce in mano e i piedi avvolti in bende di lana, simbolo dei vincoli naturali che trattengono il seme, che venivano sciolte durante l’intero mese di dicembre, una tacita invocazione al dio per lo sviluppo delle sementi. Durante i Saturnali i tribunali, alcune botteghe e le scuole erano chiusi, in tutta la città si festeggiava con banchetti e bevute, gli amici si scambiavano doni, per lo più ceri accesi a simboleggiare la nuova luce, mentre padroni e schiavi sedevano alla stessa tavola da pari, quando addirittura non si arrivava ad una inversione dei ruoli per cui erano i servi ad essere serviti. Veniva anche eletto un Rex Saturnaliorum, un re che avrebbe regnato per tutto il periodo delle celebrazioni, per poi essere simbolicamente ucciso, a ricordare Saturno che venne imprigionato da Giove. Ecco, il tema della vecchia divinità, il Vecchio Sole, che viene sconfitto dal nuovo.
I Saturnali furono poi sostituiti dal Dies Natalis Solis Invicti, la festa in onore del Sole Invincibile istituita dall’imperatore Aureliano. In seguito, durante il pontificato di Giulio I (337-352) anche questa celebrazione venne abolita e rimpiazzata con il Natale, che di fatto assorbì significati e usanze propri di questa festa (i doni o strenne, le luci, ecc.) così come più tardi accadde con quelli legati alle celebrazioni nord-europee.
Nell’Europa del nord infatti, quella del solstizio d’inverno era una celebrazione importante e sentita. Prendeva il nome di “Jól”, in onore di Jólnir, che era uno dei nomi di Odino così come Jólfoor che significa “padre di Jol”. Jól indicava più precisamente un periodo che andava dal solstizio d’inverno fino a quello che veniva chiamato Jólablót, “sacrificio di Jól”, che originariamente doveva cadere intorno alla metà di gennaio.
Prima della cristianizzazione, con ogni probabilità venivano osservate una serie di tradizioni, che sono state poi incorporate nel Natale. Così, l’albero di Natale presenta dei parallelismi con Yggdrasil, l’albero cosmico che sui suoi rami ospita i mondi della tradizione nordica. Questa origine potrebbe essere avvalorata dal fatto che la tradizione moderna è attestata nel nord della Germania tra il XIV e il XV secolo. Abbiamo testimonianze del fatto che a Tallinn, in Estonia nel 1441, fu eretto un grande abete nella piazza del Municipio, mentre una cronaca di Brema del 1570 racconta di un albero che veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta, un’altra notizia sull’uso dell’albero di Natale viene dall’Alsazia: una cronaca di Strasburgo annota nel 1605: “per Natale i cittadini si portano in casa degli abeti, li mettono nelle stanze, li ornano con rose di carta di vari colori, mele, zucchero, oggetti di similoro”. Per molto tempo, la tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni a nord delle Alpi, i cattolici infatti la consideravano un uso protestante, e si diffuse solo nel ‘900.
Allo stesso modo, si ritiene anche che il moderno Babbo Natale abbia assorbito diversi aspetti da Odino. Prima della conversione al cristianesimo, il folclore dei popoli germanici, narrava che il dio Odino ogni anno tenesse una grande battuta di caccia nel periodo del solstizio invernale, accompagnato dagli altri dei e dai guerrieri caduti. I bambini lasciavano le loro scarpe vicino al caminetto, riempendole di carote, paglia o zucchero per sfamare la cavalcatura del dio, Sleipnir. In cambio, Odino avrebbe sostituito il cibo con regali o dolciumi. Questa pratica è sopravvissuta in Belgio e Paesi Bassi anche in epoca cristiana, venendo associata alla figura di san Nicola. Il santo, che arrivava in groppa ad una cavallo volante e che l’iconografia ci descrive come un vecchio dall’aria misteriosa, alto, longilineo e barbuto, era sicuramente simile a Odino. La tradizione arrivò poi negli Stati Uniti d’America attraverso le colonie olandesi di New Amsterdam, rinominata poi dagli inglesi in New York. Lì si trasforma ancora, prendendo le sembianze del Babbo Natale che conosciamo oggi, un vecchio bonario e rotondetto, con la barba bianca, che indossa abiti rossi orlati di pelliccia, alla guida di una slitta trainata da renne.
Così come la Natura addormentata in realtà si sta preparando ad un nuovo ciclo, l’inverno era, ed è per chi vive ancora a contatto con la terra, una stagione di immobilità solo all’apparenza poiché era necessario comunque recarsi all’esterno per potare gli alberi e proteggere le piante più delicate, così come le arnie ed il bestiame. C’era da curare il vino nuovo e quello vecchio, da riparare gli attrezzi e, dalla seconda metà di dicembre alla prima metà di gennaio, si uccideva il maiale e si lavoravano le sue carni durante la luna calante.
Allo stesso modo anche noi, durante questo periodo, scendiamo nel profondo di noi stessi, per rigenerarci. Ci rivolgiamo verso l’interno, alla casa, illuminandola con la luce morbida e accogliente delle candele, la decoriamo con piante come vischio e agrifoglio, adorniamo il nostro albero solstiziale con piccoli soli, nastri rossi e oro, sacchetti di erbe, arance essiccate, noci e castagne, accendiamo nel camino, centro della vita della famiglia e dimora degli antenati, il ceppo che ci accompagnerà per le dodici notti, brindiamo con vino caldo e speziato insieme ai nostri cari alla luce che ritorna. Felice Yule a tutti voi!
di Isabella Nicolucci